Ogni anno a primavera inoltrata, arrivava la zia Bigina da Tronzano. Aveva sposato anni prima, lo zio Pinotto, un simpatico, arruffato e ormai ex giovanotto vercellese, conosciuto quando andava a fare la mondina da ragazza. La zia Bigina era molto affezionata alla nonna Maria: erano sorelle, due di cinque figli, che per aiutare la famiglia si davano molto da fare come potevano. Il Vercellese è dal ‘400 una terra vocata al riso e, fino all’avvento dei diserbati, richiamava ragazze da tutta la pianura: mantovano, cremonese, piacentino, lodigiano. Ogni anno da fine maggio ai primi di luglio, carri e treni di donne e ragazze partivano alla volta novarese e vercellese in una sorta di leva al femminile, per andare alla monda del riso. Quaranta giorni da passare curve su specchi d’acqua fangosa, con gambe e braccia a mollo, maneggiando le taglienti piante di riso e togliendo una ad una le malerbe. La sera, un pasto a base di riso, lo stesso che avevano lavorato l’anno prima, e la notte sprofondate sui pagliericci, materassi improvvisati con sacchi di stoffa portati da casa e riempiti sul posto con la lolla del riso scartata dalla trebbiatura.
La nostalgia di casa, soprattutto per le ragazzine come la zia Bigina, era forte e già all’arrivo si contavano i giorni che mancavano al rientro dalla mamma e dalla propria famiglia.
La zia Bigina era bella, anzi, bellissima. I capelli lunghissimi e ondulati senza dubbio erano raccolti, sotto quel cappello di paglia larghissimo che indossava per proteggersi dal sole. Il suo volto dolce e sempre sorridente ti accoglieva ancora prima di avvolgerti con le sue braccia e tutta l’abbondanza del suo corpo ormai immensamente dilatato dal tempo. E come lei, a quei tempi, molte ragazze nel fiore degli anni, dovevano essere bellissime.
Lei probabilmente non fu la prima, né l’ultima, che trovò il moroso nel vercellese, e alla fine si sposò il bel Pinotto, simpatico e arruffato, che tra un lavoro e l’altro in mezzo a quei campi d’acqua, fianco a fianco alle mondine, si dilettava a procurarsi la cena pescando rane da aggiungere al risotto della sera. Nel Vercellese e nel Novarese, si attendeva con impazienza la stagione della monda.
La zia Bigina arrivava tutti gli anni a primavera inoltrata, con lo zio Pinotto e i loro figli, simpatici e arruffati. Parlavano una lingua stranissima, e raccontavano le novità della loro terra, ma il riso era sempre al centro dei discorsi, perché anche se il lavoro delle mondine era ormai sostituito dai diserbanti, il Vercellese e il Novarese sono sempre rimasti terra di riso. I figli avevano intrapreso attività connesse alla coltivazione del cereale, e commerciavano impianti per esiccare il riso.
In effetti il Vercellese è ancora oggi una nuova Cina: è un laboratorio che oltre a coltivare risi tra i migliori, produce nuove varietà per il mercato.
È il caso del riso Venere, integrale, profumato e bellissimo, come la zia Bigina. Questo riso dall’aspetto esotico e dal nome classicheggiante, è in realtà un riso inventato e coltivato in Italia in anni recenti, da una varietà sperimentale fornita dall’International Rice Research Institute, ONG per la ricerca sul riso con sede nelle Filippine. Il lavoro di selezione è stato curato da Wang Xue Ren, un ibridatore cinese che vive e lavora nel vercellese per la Sardo Piemontese Sementi, la cooperativa di risicoltori che segue ancora la filiera del Venere. Niente a che fare con i temuti OGM, ma un paziente e capace lavoro di incroci e selezione genetica ha permesso di ottenere questa varietà, nuova e profumata, che si esalta in combinazione con il pesce. Un made in Italy dalle origini orientali che si sta diffondendo, tanto che la stessa cooperativa ha intrapreso anche la produzione di nuove varietà dalle caratteristiche estetiche e nutrizionali di tutto rispetto.
L’aspetto così accattivante dei chicchi di Venere, distoglie dal fatto che si tratta di un riso integrale: non aspettatevi di farci un risotto in 20 minuti. Le cose buone e sane hanno spesso bisogno di tempo e per un bel risotto agli scampi occorrono 45 comodi minuti di cottura. Il tegumento, la buccia nera che racchiude la cariosside candida, oltre ai minerali tipici dei risi integrali, contiene antociani, i pigmenti dalle proprietà antiossidanti usati in medicina per prevenire le malattie cardiovascolari.
Il nero del riso, la dea Venere della bellezza, il cuore innamorato dello zio Pinotto, questo piatto di riso Venere agli scampi che mi sto per mangiare mi ricorda tanto la mia zia Bigina, piccola e bellissima lodigiana, che con le sue mani ha contribuito a creare la grandezza del distretto risicolo vercellese.
Anna Maria Rizzi