La fatica della pesca, nelle campagne lodigiane, serviva per portare alla misera casa un po’ di cibo per sfamare tutta la famiglia. Era la pesca della miseria, la pesca della necessità, non certo la pesca sportiva del divertimento.
A casa le donne si occupavano poi di pulire, cucinare e vendere la pescagione. La casa di questi popolani era generalmente a due piani e si affacciava sulla corte, luogo di vita comunitaria.
Ad immaginare la casa del pescatore ci aiuta il Mulsa (Museo di Storia dell’Agricoltura presso la Fondazione Bolognini a Sant’Angelo Lodigiano – sala 11) che ha ricostruito la casa del salariato, la casa cioè di chi partiva dal paese per andare a offrire prestazioni giornaliere in campagna.
Ai piani alti la camera da letto e al piano terra la cucina affacciata sulla corte, luogo di vita e lavoro. Lì gli uomini riparavano le reti, lì le donne pulivano il pesce. Forse non disponevano di tutti gli attrezzi esposti al museo, ma l’intuito ci induce a pensare che la ghiacciaia potesse essere importante e magari un bel frà (scaldino) per intiepidire le lenzuola del letto nelle lunghe notti d’inverno. Non dovevano poi mancare le principali attrezzature per la pesca: qualche canna, le reti (magari anche a strascico), le bilance. Sicuramente in cucina non mancava il classico pentolame in rame.
Verosimile è anche la presenza della struttura per l’allevamento del baco da seta, visto che spesso una attività veniva unita ad un’altra per guadagnare l’indispensabile per vivere.
Non doveva mancare, poggiata in un angolo, una bicicletta, che serviva sia per avvicinarsi al fiume che per andare ad effettuare la vendita del pesce, magari anche a Milano.
(segue parte terza: Gli sguardi)
Cristoforo Vecchietti
Leggi la prima parte dell’articolo: Pescatori
Visita la casa del salariato al Museo di Storia dell’Agricoltura
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